Cronaca

Strage di Paderno: il 17enne uccise la famiglia per raggiungere l’immortalità

Strage di Paderno: il 17enne uccise la famiglia per raggiungere l'immortalità

Una notte d’estate, tra il 31 agosto e il 1° settembre 2024, si consumava a Paderno Dugnano una delle stragi familiari più agghiaccianti degli ultimi anni. Un adolescente di 17 anni, Riccardo C.eliminare la propria famiglia fosse la chiave per raggiungere l’immortalità.

I giudici, in una sentenza di circa cinquanta pagine, hanno definito Riccardo “lucido e determinato” durante l’esecuzione del triplice omicidio. La condanna è stata di 20 anni di reclusione, la pena massima applicabile con il rito abbreviato. Il tribunale ha respinto l’idea che il ragazzo agisse in uno stato di alterazione mentale incapace di intendere e di volere, descrivendo invece un atto pianificato e portato a termine con freddezza.

Il movente: un’idea di immortalità e odio narcisistico

Al centro della sentenza c’è l’analisi del movente. I magistrati riconoscono che il pensiero di Riccardo fosse “stravagante” e non sano, ma sottolineano come fosse un’idea che il ragazzo ha scelto di alimentare e sulla quale ha agito in modo coerente. Quel proposito bizzarro di raggiungere l’immortalità attraverso l’uccisione dei familiari non era frutto di un delirio incontrollabile, ma piuttosto il perverso risultato di una scelta.

Ad alimentare la furia omicida, secondo i giudici, ci sarebbe stata una “grossa dose di rabbia e odio narcisistici”, accumulati nel tempo a fronte di ogni frustrazione. Questi potenti stati emotivi sono considerati la “benzina” che ha permesso all’atto di compiersi con una violenza inaudita. Le modalità particolarmente spietate dell’esecuzione e l’accanimento, specialmente verso la madre e il fratello minore, ne sono la tragica conferma.

La lucidità del gesto: nessuna prova di instabilità

Uno degli aspetti più inquietanti evidenziati nel documento è la lucidità con cui il 17enne ha agito. Il Tribunale ha escluso alcuna evidenza di una condizione psichica di instabilità e di ingovernabilità durante le diverse fasi del delitto. Riccardo non sarebbe apparso “dissociato o soggetto ad alcuno scompenso”, ma anzi avrebbe mantenuto un alto livello di organizzazione mentale, portando a termine un piano ben organizzato.

La sentenza specifica che il giovane ha sempre adeguatamente distinto la realtà dall’immaginazione e ha avuto, in ogni momento, alternative comportamentali. Ha programmato, attuato e variato le sue azioni secondo necessità, prima, durante e dopo il fatto, dimostrando una piena consapevolezza delle proprie intenzioni e dei propri atti.

Il commento della difesa e le reazioni

Non concorda con questa ricostruzione Amedeo Rizza, l’avvocato difensore del giovane. Commentando all’AGI le motivazioni, il legale ha espresso il suo disappunto: “Ovviamente non condivido questa motivazione. Il giudice non ha preso atto della concreta incidenza e del nesso di causalità che c’è tra la patologia di Riccardo e il reato commesso. Nessuna motivazione sul perché avrebbe commesso gli omicidi”.

La posizione della difesa si scontra dunque con le conclusioni dei magistrati, che pure riconoscono i “tratti di personalità” del ragazzo e la sua “fantasia”, ma li considerano elementi che non scalfiscono la sua capacità di controllo e la responsabilità penale per un gesto lucido e spietato, che ha segnato per sempre una famiglia e un’intera comunità.

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