La decisione di un comandante di sparare sui superstiti di una nave affondata non è mai solo una scelta tattica. È un atto che la storia e la legge hanno già giudicato, tracciando un confine netto tra un’azione di guerra e un crimine di guerra. Due episodi della Seconda Guerra Mondiale, quasi speculari ma dagli esiti opposti, cristallizzano questo principio in modo indelebile: da un lato la condanna dell’ammiraglio tedesco Heinz-Wilhelm Eck, dall’altro l’eroica umanità del comandante italiano Salvatore Todaro.
Il crimine dell’U-852: il caso Eck
Nella notte del 13 marzo 1944, il sommergibile tedesco U-852 affondò nel Sud Atlantico il mercantile greco SS Peleus. Ciò che accadde dopo superò ogni limite. Temendo che i naufraghi potessero segnalare la sua posizione, il capitano Heinz-Wilhelm Eck ordinò di eliminare ogni testimone. Per cinque ore, l’U-Boot navigò tra i relitti sparando con mitragliere di bordo e lanciando granate contro uomini inermi aggrappati a zattere. Solo quattro marinai sopravvissero, diventando testimoni chiave dell’orrore.
Quel fatto portò al celebre Processo Eck del 1945. Un tribunale militare britannico respinse la giustificazione della “necessità operativa” e stabilì un precedente storico: attaccare deliberatamente i sopravvissuti di una nave affondata è omicidio e, a tutti gli effetti, un crimine di guerra. Eck e due suoi ufficiali furono giustiziati. La sentenza chiarì che i naufraghi sono persone fuori combattimento e come tali devono essere protetti, un principio cardine del diritto internazionale umanitario.
Il precedente giuridico e la legge del mare
Il Processo Eck non fu una vendetta, ma l’applicazione di norme già esistenti. Ancor prima delle Convenzioni di Ginevra, il diritto internazionale consuetudinario e le convenzioni marittime imponevano di soccorrere chi è in pericolo in mare, nemico compreso. La sentenza contro Eck codificò nero su bianco che quell’obbligo è inviolabile. Oggi, attaccare chi non partecipa più alle ostilità costituisce una grave violazione, perseguibile dai tribunali di tutto il mondo. Il caso è studiato come precedente storico fondamentale.
L’alternativa umana: la scelta di Salvatore Todaro
Quattro anni prima, nell’ottobre 1940, il comandante italiano Salvatore Todaro si trovò in una situazione simile. Dopo aver affondato il piroscafo belga Kabalo, si ritrovò davanti a decine di uomini in acqua. La sua scelta fu opposta a quella di Eck. Nonostante i enormi rischi per il suo sommergibile, il ‘Cappellini’, Todaro recuperò i naufraghi, li fece salire a bordo e li trasportò in salvo verso terra, rispettando la legge del mare. Salvò 26 vite.
All’osservazione che un comandante tedesco non avrebbe fatto lo stesso, Todaro rispose con orgoglio nazionale ed etica personale, con frasi come “noi italiani abbiamo duemila anni di civiltà”. La sua azione, sebbene criticata da chi voleva una guerra spietata, è diventata un simbolo di umanità in guerra, dimostrando che esiste sempre una scelta.
Il confine tra lecito e illecito in guerra
Le storie di Eck e Todaro non sono mere cronache storiche. Sono le due facce della stessa medaglia e mostrano, in modo concreto, il confine tra condotta lecita e violazione del diritto internazionale. Dimostrano che in guerra non tutto è permesso. Il diritto internazionale pone limiti precisi: proteggere i non combattenti e soccorrere i naufraghi non è optional, è un obbligo. La differenza sta nelle scelte individuali, che hanno conseguenze reali: memoria onorevole e rispetto, oppure processi e condanne per crimini di guerra. Quel confine, tracciato in mare decenni fa, è più attuale che mai.
