Oggi, in occasione della Giornata Mondiale dell’Alzheimer, i riflettori si accendono su una delle patologie più crudeli e misteriose del nostro tempo. Una malattia ancora incurabile che, come una foto che lentamente si sbiadisce, cancella ricordi e identità, trasformando l’esistenza dei pazienti e delle loro famiglie in un labirinto senza uscita. In Italia, sono circa 4 milioni le persone colpite, un numero destinato a raddoppiare entro il 2050 a causa del progressivo invecchiamento della popolazione.
L’impatto sulle famiglie e il peso sulle donne
Il volto dell’Alzheimer è in prevalenza femminile. Il rapporto Censis di settembre 2024 rileva che a esserne colpite sono soprattutto le donne (62,2%). E sono ancora le donne a farsi carico dell’assistenza: oltre il 70% dei caregiver sono di sesso femminile, che siano figlie di mamme diventate più longeve e spesso vedove, o mogli di pazienti uomini. La famiglia rimane il perno centrale dell’assistenza, ma il caregiver si sente sempre più solo: uno su cinque riferisce di non ricevere alcun aiuto e si riduce la quota di chi può contare sul supporto di altri familiari.
Il ricorso a una badante coinvolge il 41,1% circa delle famiglie. Tuttavia, il loro apporto tende a diminuire, come segnalato dal fatto che oggi prevalgono le badanti non conviventi, una scelta che riflette le difficoltà economiche e organizzative delle famiglie.
I costi sociali e umani devastanti
Oltre al dolore, il peso economico è enorme. Secondo gli studi internazionali, il 40% dei caregiver sviluppa sintomi di ansia o depressione. Tradotto in numeri italiani, significa oltre 1,2 milioni di persone a rischio di ammalarsi per aver curato un familiare. Il costo medio annuo per paziente può arrivare fino a 72.000 euro, tra spese mediche, assistenza e perdita di produttività. Alla sofferenza si aggiunge lo stigma sociale, che spinge molte famiglie a vivere la diagnosi come una condanna da nascondere, restando isolate. L’Alzheimer assorbe circa 15 miliardi di euro l’anno, un costo che grava quasi interamente sulle spalle delle famiglie.
Il ruolo cruciale delle associazioni di supporto
In questo scenario di smarrimento, le associazioni sul territorio svolgono un ruolo prezioso e concreto. Offrono gruppi di confronto e ascolto dove i familiari possono condividere la fatica e la preoccupazione per un ruolo di cura per cui spesso ci si sente impreparati. Psicologi, avvocati e medici specialistici incontrano online piccoli gruppi di familiari in sessioni gratuite, offrendo uno spazio sicuro per confrontarsi. Nonostante le difficoltà, l’84,9% dei caregiver ritiene di essere utile, anche se il 68,3% afferma di sentirsi solo. La malattia condiziona l’intero nucleo familiare: in oltre la metà dei casi genera tensioni tra i familiari, mentre il 40% rivela difficoltà nel seguire la propria famiglia e i figli.
Non solo una sfida medica, ma un problema sociale
La risposta non può essere solo farmacologica. Come sottolinea il Prof. Lorenzo Palleschi, Presidente della Società Italiana di Geriatria Ospedale e Territorio (SIGOT), servono diagnosi precoce, reti territoriali dedicate e una forte spinta sulla prevenzione attraverso stili di vita sani, attività fisica, alimentazione equilibrata e stimolazione cognitiva.
La Prof.ssa Virginia Boccardi, Direttivo nazionale SIGOT, aggiunge: “Mai dimenticare i pazienti e massima attenzione a chi presta le cure. L’Alzheimer non è solo una sfida medica, ma un problema sociale, culturale ed economico che riguarda tutti. Un Paese civile si misura sulla capacità di proteggere i suoi cittadini più fragili. La sfida si vince con la forza di una comunità che sceglie di non lasciare nessuno indietro”.